Mi sto innamorando sempre più di questa età, un po’ per la sua naturale inquietudine, un po’ per la trasparenza che nonostante tutto permane. Due episodi di questi giorni:
Liceo Scientifico di una città del nord, scuola quotata con belle teste sia tra gli studenti che tra il corpo docenti.
Un ragazzo diciassettenne compie un’azione molto discutibile, una trasgressione importante che lo fa finire all’ospedale. Il tutto accade a scuola e gli adulti di riferimento vanno nel panico. A prima azione è accusatoria nei confronti dei ragazzi, poi il dirigente mi chiama per aiutare lui e i docenti a gestire il mega conflitto che si è venuto a creare. Accetto ma chiedo di incontrare la classe. Due ore di intenso dialogo dove pongo subito due paletti:
non sono una vostra insegnante ma non sono una vostra amica
non ho tempo da perdere quindi non raccontiamoci palle
obiettivo: cercare di ricostruire il rapporto dopo la frattura che si è generata tra voi e il mondo adulto.
Ho trovato alcune cose che ritengo molto importanti: prima di tutto il gran bisogno di essere ascoltati per davvero, di essere presi in considerazione in maniera ferma e seria, senza pregiudizi.
Altra cosa, il bisogno di essere trattati come persone che hanno capito l’errore commesso e hanno voglia di ricominciare.
Ultima cosa il desiderio di non vedere banalizzate le loro parole e di non utilizzare l’episodio come ricatto futuro.
Ho nuovamente incontrato sia i ragazzi che gli adulti e mi pare che, con l’ammissione degli errori compiuti da parte di tutti la fase di “ricucitura” possa davvero prendere atto.
Il secondo episodio: mi trovo in una stazione ferroviaria, una classe di preadolescenti sta partendo per una gita di istruzione di una giornata, sono del terzo anno di scuola secondaria di primo grado.
Ragazzine e ragazzini si muovono nell’atrio della squallida stazione, qualcuno esce fuori a osservare lo scarso traffico vista l’ora antidiluviana.
Un ragazzo si sfila il giubbotto e rimane con la t-shirt a maniche corte. Una prof con lo sguardo torvo inizia a urlargli contro, dicendo che è un cretino, che si prenderà senza dubbio una polmonite. Fatto il sermone al ragazzo che, suo malgrado, indossa nuovamente il giubbotto, la prof esce e inizia a inveire contro i ragazzini che sono usciti all’aperto. C’è da dire che le porte scorrevoli sono vetrate, dunque i ragazzi erano completamente visibili.
Gli altri rimasti in stazione si guardano perplessi e commentano “ma non hanno fatto niente” ma la prof continua, a inveire. Sembra arrabbiata con la vita, ha un grugno triste e tra me e me penso che non dovrebbe proprio funzionare così.
Gli adulti dovrebbero avere più cura nelle relazioni dal momento in cui si assumono il ruolo così importante come quello educativo.
Ci possono stare mille cose dietro comportamenti così estremi, dietro urla sconsiderate. L’insegnante potrebbe aver dormito male, non aver avuto voglia di accompagnare la classe in gita, essere sotto stress, vittima di qualche delusione amorosa o in pensiero per un familiare ammalato. Ci potrebbe stare di tutto ma ciò non giustifica un comportamento simile. Mai, non solo nel frangente che sto illustrando.
I ragazzi hanno diritto a un trattamento dignitoso, a essere rispettati perché chi non è rispettato non può imparare il rispetto. Chi non è accettato non impara l’accettazione, chi non è ascoltato non impara l’ascolto.
Penso possa bastare questo con, in aggiunta, il fatto che gli adulti siamo noi.