Approfittando di un momento di tranquillità durante le vacanze di Natale mi sono riletta un po’ di cose del grande maestro Gianni Rodari. Tra i documenti ho trovato i “Pensieri per genitori, 7 piccoli spunti per grandi riflessioni” [1]. Non sono riuscita a trovare la data esatta della stesura ma senza dubbio si tratta degli anni Sessanta perché l’autore fa riferimento alla figlia che essendo nata nel ’57 all’epoca di questi scritti poteva avere all’incirca 9-10 anni. Non ci importa tanto sapere l’anno esatto ma capire che, una volta in più, Rodari è stato profetico per molti versi.
Ho trovato, dicevo, i suoi 7 piccoli spunti da consegnare ai genitori all’interno del “Giornale dei genitori”.
Rodari fu direttore della testata dal 1968 (alla morte di Anna Marchesini Gobetti sua fondatrice) fino al 1977. Il Giornale andò avanti fino al 1992 sotto la direzione di Marisa Musu, poi, per motivi di tipo economico, venne chiuso. Attraverso quelle pagine Rodari accompagnava mamme e papà nell’educazione dei bambini e bambine senza mai perdere di vista l’approccio sociale, la vita comunitaria, la partecipazione politica.
Rodari partiva dalla convinzione che un bambino non è figlio solo della sua famiglia ma di tutto il contesto; dunque, la genitorialità era una faccenda anche sociale.
Mi piace accogliere gli spunti di ieri e provare a declinarli in qualche misura al nostro oggi.
Proverei a farlo in più “puntate” per consentire anche a chi legge di riflettere per suo conto su questioni molto grandi, così come le definiva l’autore.
Gli spunti sono questi:
Uno. Il coraggio di dire ‘no’
Due. Le cose più grandi di loro
Tre. La scuola pubblica
Quattro. La porta di casa protegge, ma isola
Cinque. Abbiamo il figlio che volevamo
Sei. Diamo sempre troppo poco
Sette. Divertirsi coi figli
Comincerei senz’altro dal numero uno: Il coraggio di dire no. Raccolgo un piccolo brano dello spunto:
(…)
Se siamo noi a cedere, ad abbandonarci a una vita senza passione, a non provare rabbia per come va il mondo, a guarire dalla nausea, a rinunciare all’azione, possiamo ottenere due risultati, per noi ugualmente negativi: nel caso migliore (per loro) saranno i figli a rivoltarsi contro di noi, a fare contro di noi la loro `rivoluzione culturale’ (speriamo che l’immagine non mi faccia qualificare come `cinese’); nel caso peggiore, alleveremo dei piccoli ipocriti carrieristi. Bravi tecnici, magari, ma odiosi `benpensanti’. E se noi non cediamo: se continuiamo a pensare che una vita senza passione è degna d’un albero, d’un gatto, ma non d’un uomo, allora come possiamo comunicare ai nostri figli questo atteggiamento? Sono sufficienti, allora, i consigli della psicologia e le conquiste della pedagogia sperimentale? Essere `genitori moderni’ può bastare? Fino a che punto, e con quali mezzi, l’educazione del cuore deve accompagnarsi all’educazione della mente?(…)
Ho provato dei brividi mentre leggevo queste frasi. Dove sta la passione? La passione per il proprio lavoro, per la propria famiglia, per la comunità, per gli altri. I nostri figli oggi non pensano nemmeno lontanamente di rivoltarsi contro di noi, siamo andati talmente oltre la profezia di Rodari che non solo sono diventati odiosi benpensanti, ma si stanno ritirando dal mondo perché hanno capito che il mondo non è posto per loro.
Il concetto di “Educazione del cuore” mi pare molto interessante e non è assolutamente ascrivibile all’educazione melliflua e accomodante. Per educazione del cuore Rodari intende educazione alla passione, mettere il cuore in ciò che si fa. I nostri figli hanno il diritto di vivere dentro un contesto dove valgono le cose vere, dove non ci sia tanta rassegnazione. Il nostro tempo, certamente dieci lustri dopo lo scritto di Rodari, è un tempo che vede troppa rassegnazione. I nostri figli sono spesso poco interessati, annoiati, delusi proprio perché manca loro la molla per reagire, per vedere che si può fare qualcosa di utile nella vita.
Mi riferisco ad esempio alla capacità empatica di stare dentro una comunità. Durante il lockdown, lo ricordiamo tutti, sembrava ripreso lo spirito di solidarietà. Tutti volevano fare qualcosa per gli altri, tutti erano grati a qualsiasi piccolo gesto. Io ci ho creduto per un po’, pensavo davvero che questa storia lasciasse un nuovo modo di vedere gli altri e di darsi una mano. Mi sono detta vuoi vedere che adesso riusciamo ad attivare anche i figli, riusciamo a dar loro un vero significato della socialità, della collettività, dell’amicizia.
Invece li abbiamo chiusi dentro e isolati, rinchiusi nelle loro stanze e attaccati ai loro device. L’unico modo per sentirsi vivi anche se con poca passione.
Quali “passioni” avrebbe riscoperto Rodari in un tempo come questo? Su cosa avrebbe tuonato per riscattare il senso di solidarietà e comunità?
[1] G. Rodari. Pensieri per genitori, Roma, Edizioni D. O. GE (Coordinamento Genitori Democratici, 1996)