L’adozione è una cosa meravigliosa, aprirsi a un nuovo figlio senza che questi sia stato “coltivato” dentro la propria pancia, dare una opportunità a un bambino che ha iniziato la propria vita in salita, con un trauma terribile quale quello dell’abbandono o del rifiuto.
1] Art. 28 L n.184/1983 in materia di accesso alle origini
È da coraggiosi potersi aprire a questa dimensione, essere famiglia, creare “casa”, dare il proprio nome a una creatura che parte con difficoltà enormi fin dal suo esordio.
La preparazione per le famiglie adottive non sempre è delle migliori, spesso si nota una carenza a livello educativo, si lavora molto con psicologi e assistenti sociali ma educativamente è raro che venga ingaggiato il pedagogista o il parent counselor per supportare la famiglia.
La crisi più grossa spesso arriva quando il figlio, la figlia diventano adolescenti.
L’adolescenza è quell’epoca in cui tutto si ribalta, non per niente viene definita una seconda nascita. Il figlio prende le distanze, cerca di separarsi dal genitore e lo fa con estrema fatica, perché i genitori oggi sono molto votati alla loro creatura. C’è una fusionalità forte e invochiamo sovente la figura del padre come elemento normativo importante.
Serve insegnare il coraggio, avere paletti stabili, argini di contenimento.
È difficile per ogni famiglia, diventa davvero molto faticoso per le famiglie adottive.
In adolescenza emerge forte la richiesta evolutiva legata alla domanda di fondo: Chi sono? Dove vado? Da dove vengo?
Se per un figlio biologico il “da dove vengo” passa in secondo piano e la concentrazione si fissa sul “chi sono?” e “dove vado?”, per il figlio adottato la domanda “da dove vengo?” è quella che richiede maggior fatica.
Spesso il senso di vuoto che accompagna questa fase della crescita espone a comportamenti devianti, alla ricerca di colmare quel vuoto, quella impossibilità di trovare una vera radice. Ricordiamo che, qualora non fosse nota e palese la provenienza familiare (conoscere la sorte dei genitori biologici) l’adottato deve aspettare i 25 anni per poter chiedere lumi 1, spesso un tempo ritenuto drammaticamente lontano.
La famiglia adottiva si ritrova disorientata e il rischio è di non lasciare sufficiente spazio alla ricerca interiore del figlio.
Il vuoto è quello che generalmente abita nella mente di questi ragazzi e ragazze, un vuoto che rischia di essere colmato con sostanze, con movimenti autolesionistici frammisti al grande senso di colpa nei confronti dei genitori adottivi.
Riuscire ad accogliere questo dolore, rimanendo però fermi sui propri principi educativi, sulle regole, sulle richieste è fondamentale.
È importante che il genitore accolga la fatica, gli acting out del figlio, riconducendo il tutto nella logica fase di esplorazione tipica dell’età e ancor più della situazione specifica.
Evitare di punire ma aprirsi al dialogo, cercare di parlare apertamente dei sentimenti contrastanti che il figlio vive, condividere anche le proprie fatiche ed emozioni. Il dialogo franco e senza sotterfugi e menzogne è quello di cui un adolescente adottato necessita.