Motto trito e ritrito , ultimamente dovremmo spostare questo detto riferendoci alla tastiera di uno smartphone o di un pc. “Ne ferisce più la penna che la spada”. Le parole ostili hanno un vastissimo utilizzo e spesso il mittente non si rende conto (almeno questo io mi auguro) di quanto la ferita possa bruciare. Le parole ostili hanno una vasta eco soprattutto nelle persone deboli, in chi non ha una buona autostima o in chi, più fragile di altri, non ha ben consolidato il proprio “posto nel mondo”. La violenza sul web è diventata inaudita e il bersaglio facile, quello che non si incontra, non si guarda negli occhi, non ha possibilità di replica si può sentire sopraffatto e senza via di uscita. Vediamo quanto i più giovani si sentano sotto scacco più ancora degli adulti. L’odio in rete è uno dei temi forti di cui tener conto a livello educativo, importantissimo il supporto dei genitori e degli insegnanti anche e soprattutto a livello preventivo. Insegnare a utilizzare correttamente gli strumenti, non permettersi di insultare nessuno aiuta a creare quella base necessaria per una comunicazione “umana” sostenibile. La riflessione che vorrei fare però va in altra direzione. Quale risonanza può avere nella persona il sentirsi aggredire verbalmente, sentirsi investire da urla rabbiose non necessariamente accompagnate da parole offensive. Fa male sempre, anche se si è fatto un lavoro su di sé, anche se si riesce a distinguere la portata emotiva dell’altro, anche se si è sufficientemente preparati a giustificare gli accessi di ira. La parte razionale comprende, aiuta a non rispondere a tono, aiuta a fare quel passo indietro consapevole necessario a non innescare una guerra. Ci si prende tempo, si respira, si lascia l’altro sbollire e si cerca di mettere in fila i pensieri e le motivazioni. Il decentramento aiuta, la testa c’è, ma la pancia? La pancia, ovvero il cervello emotivo, non può non soffrire. Spesso accade che si riaccendono vecchie ferite, si rivivono momenti dell’infanzia in cui gli strumenti per controbattere non ci sono, in cui si è vittime e basta, senza se e senza ma. Riaffiora alla memoria la volta in cui non avevi colpa e sei stata accusata violentemente, la volta in cui tuo padre si è scagliato urlando perché hai rotto un vaso, tua madre ha urlato come una forsennata perché hai sporcato il vestito nuovo. Sono frammenti di vissuti che, nonostante le elaborazioni cognitive e emotive adulte, trovano comunque un pertugio e si insinuano in qualche parte del tuo cervello riattivando il senso di disagio profondo. Perché sottolineo queste cose? Per portare attenzione sempre, soprattutto se ci rivolgiamo ai bambini e bambine. Uno sfogo adulto non può essere ripagato con un semplice “scusa”. Il senso di colpa nel bambino rimane e anche dopo tanti anni l’idea di essere sbagliato riaffiora. Lo spunto di riflessione serve ovviamente a noi adulti, un adolescente può fare la sua sparata, il suo acting out e l’adulto lo può comprendere; diversamente lo sfogo verbale violento dell’adulto porta sempre un forte senso di inadeguatezza in chi lo riceve. Riflettiamoci sopra e quando ci sentiamo di dover sfogare la rabbia, usciamo dalla stanza, urliamo fuori dalla finestra, facciamoci una bella corsa ma evitiamo di investire l’altro con la colata lavica infuocata. Si può fare, si può litigare bene, si può imparare.