Tema dei temi delle ultime riflessioni sul mondo adolescenziale è l’invadenza del digitale. Abbiamo usato ogni aggettivo possibile per tentare di spiegare lo smarrimento che li ha colti, l’incapacità di togliersi dalle mani il fatidico smartphone tacciato di essere il prolungamento della mano del ragazzo/a.
Tutto accade in rete, tutto deve essere postato, fatto vedere, mostrato. Se non ti fai vedere non esisti, gli esperti lo chiamano F.O.M.O. (L'acronimo sta per "No mobile (phone) Fobia" e indica la paura di rimanere con uno smartphone privo di connessione, quindi di rimanere isolati dal mondo e dai social).
Tutti noi adulti ci siamo accaniti contro questo stato di cose, faticando a comprendere ma pronti a giudicare. Educativamente non abbiamo fatto molto, sia per la fatica di comprendere e dunque di accettare, sia per l’incapacità di gestire noi stessi.
Per spiegarmi racconto un banalissimo episodio.
Convegno, sala affollata da un buon gruppo di adulti potenzialmente interessato all’argomento proposto. Dopo i primi 5-10 minuti la stragrande maggioranza delle persone ha preso il suo smartphone in mano. Ho fatto la “guardona” e ho sbirciato anche cambiando di posto per verificare più dispositivi. Foto, Instagram, Facebook, Telegram.
Le persone dovevano “testimoniare” di trovarsi lì, in quel preciso istante proprio in quel luogo. C’era urgenza di farlo sapere. A chi? Al mondo!
Mi sono detta: questi adulti sono gli stessi che faticano a capire i figli adolescenti sempre attaccati ai social?
Credo che il problema più grosso sia proprio questo.
Anche il mondo adulto sta vivendo la “sindrome da ammirazione”, rubo il concetto a Pietropolli Charmet che nel 2019 ha scritto un ottimo libro sull’argomento.
Dobbiamo farci vedere, sentire, dimostrare che abbiamo un seguito.
È amaro ma purtroppo reale. Osserviamoci.